Storia e Folklore Calabrese

di Domenico Caruso


La nostra Piana

Santa Cristina d'Aspromonte

Sorrise a te Natura! Tra gli olivi / A te l'austera chioma reclinanti / Nascesti! Intorno armoniosi rivi / Ti salutar festosi, spumeggianti. // A te le molli brezze d'Aspromonte / Cantan l'inno di pace e dell'amore! / Ridente ognor ti bacia sulla fronte / Il sol che intorno a te nutre ogni fiore. // Sul tuo capo dei faggi la foresta / T'inebria di soave nostalgia. / I fiori, intorno, in un'eterna festa / Nuova ti cantan dolce poesia. // A te corre il mio cuor gemente! [...]. (Dall'acrostico di F. Spanò, 1930).
Origini del nome
Le ipotesi sulle origini del toponimo sono numerose.
"Nell'anno 903 era Crestina, o Santa Crestina un popoloso castello sito alle falde del meridionale Appennino, al sud della Città di Oppido, e sorse o contemporaneo, o di poco a quella posteriore. Fu la sua gente, circa quel tempo, evangelizzata da Sant'Elia, monaco basiliano, eremita nei monti della sicula regione, e poi cenobita di Salinas, sulle colline di Palmi". (C. Zerbi, Oppido Mamertina, 1876).
Sono in tanti a ritenere che la martire cristiana di Bolsena, il cui culto era abbastanza diffuso in tutta Italia, verso la fine del VI secolo abbia dato il nome al piccolo centro dell'Appennino, appunto Santa Cristina.
Il protopapa Cocolo così giustifica la scelta della protettrice: "Ciò poté avvenire attraverso tutte quelle comunicazioni umane ed ecclesiastiche. E pertanto quell'affascinante leggenda è entrata nella pietà, e poi anche nel culto con questo semplice iter: colpendo la fantasia, ha suscitato il sentimento, questo sentimento debitamente coltivato, ha generato la vera devozione fondata in una fede sincera".
C'è chi, (tornando all'incipit), fa derivare il nome dalla fortificazione dell'antico castello Crestina, menzionato nella vita di S. Elia di Enna, detto il giovane (823-903) il cui bios venne scritto tra il 904 e il 930. Tralascio le altre supposizioni.
Un po' di storia
La presenza umana tra le colline di S. Cristina risale al neolitico (età della pietra), come dimostrano i reperti archeologici venuti alla luce. Ma il primo documento riguardante l'esistenza di un agglomerato urbano, con la definizione di città, è del IX secolo. In quel periodo i monaci basiliani, per sfuggire alle persecuzioni, giunsero anche nella nostra Piana dove fondarono i loro monasteri e contribuirono a mantenere le tradizioni greche.
Sul finire dell'800, come accennato, nel suo peregrinare S. Elia si trovò a predicare la fede cristiana nel Castello di S. Cristina preannunciando ai fedeli un'invasione saracena.
Dopo il sisma del 1783 che distrusse S. Cristina, non ostante le discordie venne scelta la contrada più idonea, S. Lorenzo (della Scoffitta), per riedificare - in modo lento e sofferto - la città. Purtroppo, le epidemie ridussero sempre più la popolazione già decimata, che nel 1812 contava meno di duecento abitanti. Successivamente (1875) un'inversione di tendenza la fece giungere a 1200 unità.
Alla morte di Federico (1250) e del successore Corrado, rimase Manfredi a reggere le sorti di Sicilia e di Calabria, essendo Corradino in tenera età e viceré l'ambizioso Pietro Ruffo, divenuto conte di Catanzaro. Quest'ultimo, approfittando della lontananza dello svevo, tentò d'impadronirsi del potere. Ma appena Manfredi vide in pericolo il suo dominio sulle province calabresi, mandò Conrado Truich con sufficiente forza di fanti e cavalli, al quale si unì il capitano Gervasio di Martina. Man mano che quest'esercito avanzava le città e i castelli si arrendevano: né Seminara, in cui si erano riuniti i capitani del Ruffo (Carnelevarius de Pavia, Boemondus de Oppido e Fulco Ruffus), tardò ad aprire le porte (1255). "Di questi", scrive il De Salvo, "i primi si unirono all'esercito di Manfredi; Fulcone si pose in salvo in Santa Cristina, e fortificò in modo inespugnabile questo castello e Motta Bovalina: per la qual cosa Gervasio pose il campo nel piano di San Martino". Neanche gli uomini di Carlo d'Angiò (1450) riuscirono a conquistare la città. Alla fine del '400 i Ruffo vendettero la contea e S. Cristina passò agli Spinelli che la tennero fino all'eversione della feudalità (1806). La tardiva divisione dei territori tra S. Cristina e gli ex casali creò un contenzioso amministrativo e legale con l'usurpazione dei demani. Con il decreto del generale francese Championnet, S. Cristina fece parte del Cantone che comprendeva Seminara, Palmi, Rizziconi, Oppido, Bagnara, S. Eufemia, ecc. Il 4 maggio 1811 dei cinque casali di S. Cristina si staccarono Pedavoli e Paracorio, i quali nel 1878 riunendosi crearono il Comune di Delianuova. Scido divenne Comune autonomo insieme a S. Giorgia nel 1838.
Eventi
Il telegrafo a Santa Cristina

Il 21 novembre 1900, finalmente, S. Cristina d'Aspromonte ottenne il suo Ufficio Telegrafico. La richiesta era stata avanzata dal Comune al Ministero dell'Interno nel 1880, ma tra autorizzazioni e smentite trascorsero 20 anni prima che i cristinesi potessero usufruire dell'indispensabile mezzo di comunicazione.
L'impossibilità di sostenere le spese di gestione, troppo onerose per l'amministrazione locale con un bilancio deficitario, nonché problemi particolari riguardanti il personale delle poste, avevano ostacolato la realizzazione dell'impianto.
Così, il Comune e la Stazione dei Reali Carabinieri dovevano servirsi dell'ufficio telegrafico di Oppido Mamertina, a sette Km. di distanza, per mezzo di procaccia. L'11 agosto 2001 a Santa Cristina venne emesso anche un annullo filatelico per commemorare il centenario dell'eccezionale evento.
Documenti e curiosità del passato
Dopo il catastrofico sisma del 28 dicembre 1908 un gruppo di giovani, prevalentemente piemontesi, tra cui Giovanni Malvezzi e Umberto Zanotti Bianco, diedero vita all'Associazione Nazionale per gli interessi del Mezzogiorno d'Italia (ANIMI), eretta quindi ad Ente Morale (1911).
I due benefattori, autori dell'opera "L'Aspromonte Occidentale", ci hanno fornito un documento sconcertante delle condizioni di vita delle nostre popolazioni. Apprendiamo, così, che: "Verso S. Cristina vi è la lavorazione delle radici di erica per le bozze di pipa; qua e là fabbriche di sapone, ma che appena occupano la famiglia del proprietario; poche segherie idrauliche, poste nella zona più alta dell'Aspromonte, in prossimità dei boschi, e unite ai paesi con mulattiere a volte quasi impraticabili; pochi mulini a forza idraulica, a macina di granito, con scarso rendimento; infine poche fabbriche di casse per esportazione di agrumi e di botti, ma solo per i bisogni del paese".
L'analfabetismo era un fenomeno allarmante. A S. Cristina vi erano soltanto una scuola maschile e una femminile. Nella borgata Lubrichi una scuola mista. Il terremoto aveva distrutto gli antichi locali, tutti presi in affitto ed era stata concessa una baracca 8x8 divisa in due aule.
Non meno precaria era la situazione dell'igiene e della sanità. A S. Cristina, si legge: "Vi è una tenda-ospedale inviata dopo l'epidemia di scarlattina [...]. Nel comune v'è un medico, un farmacista ed una levatrice. Le fontane del paese hanno una sola conduttura, che nell'abitato è di ghisa, fuori d'argilla. Vi è un solo spazzino. I maiali vaganti sono i veri spazzini di tutti i comuni. L'igiene lascia molto a desiderare. Le case in gran parte sono senza cessi. I pochi esistenti sboccano in piccoli tronchi di fognatura che danno all'aperto, giacché manca una fognatura generale".


Principali feste religiose
Riporto - ancora da Malvezzi e Zanotti Bianco - la religiosità di S. Cristina del passato: "La festa principale è quella del Corpus Domini, per cui si spendono circa 1000 lire; le secondarie, che costano da 500 a 600 lire, sono: L'Epifania, S. Sebastiano, S. Antonio, S. Giuseppe, S. Rocco, l'Assunta, la Madonna della Porta. Altre 300 lire si raccolgono per Sant'Anna, e 300 o 400 per S. Francesco. Spesa annua complessiva: da 4500 a 5000 lire". Comunque, non c'era da lamentarsi. La tirannia dello spazio m'impedisce di trattare e confrontare le ricorrenze attuali.
Detti, vezzi e proverbi
Carta veni, jocaturi s'avanta. (La carta viene, il giocatore si vanta).
Comu si mangia si fatiga
. (Si lavora per come si mangia).
Cu' disija, cu' rispostija e cu' mori disijandu. (Chi desidera, chi risponde e chi muore desiderando).
Cu' no' cadi pecchì no' 'nd'avi largu, cu' no' mori pecchì no' 'nd'avi tempu. (Chi non cade per mancanza di spazio, chi non muore perché non ha tempo).
E iju petra! (E lui pietra! Insistenza inopportuna sulla stessa cosa).
I corpa su' a comu cadunu. (Le botte sono come cadono).
L'usu vècchju è leggi. (La vecchia usanza è legge).
Mancu a zannella... (Nemmeno per scherzo...).
Mastru Nicola dijuna domani. (Mastro Nicola digiuna domani. Chi rimanda sempre la dieta da fare).
Ogni mal'acqua leva siti. (Ogni cattiva acqua disseta).
Ogn'ura 'nu cucchiaru. (Ogni ora un cucchiaio. Chi ripete con lentezza la stessa azione).
Patruni, pochi strazzi mi po' fari, curtu è lu tempu chi t'haju e serviri. (Padrone, mi puoi fare pochi dispetti poiché il tempo che ti devo servire è breve).
Quandu è datu 'u porceju curriti cu' cuteju. (Quando c'è il maiale correte con il coltello).
Rrrusti l'ovu a' candila. (Arrostisce l'uovo alla candela).
Sangu e latti! (Sangue e latte! Espressione di buon augurio).
Ti mbizzu e ti perdu. (Ti istruisco e ti perdo. Detto per chi non si comporta secondo l'insegnamento ricevuto).
Tracandali. (Persona grande e grossa. Detto in senso dispregiativo).
Tu mi dici ed eu 'gnuranti criju ca' prima veni giugnu e dopu maju. (Tu mi dici ed io ignorante ci credo che prima viene giugno e dopo maggio).
'U malu passu è a undi cadi. (La cattiva strada è dove cadi).
'U suli è mortu 'i friddu. (Detto di situazione difficoltosa, anche in senso ironico).
Canti popolari d'amore
A menz'o mari nc'era 'na villa nova, / mina lu ventu e la battiu a la praja; / ja intra nc'era 'na bella figghjola, / di nomi si chiamava "Suli e Luna"; / portava li capiji a la spagnola, / si li conzava a la pampaniana. (In mezzo al mare c'era una villa nuova, soffiava il vento e la spingeva a riva; lì dentro c'era una bella fanciulla, di nome si chiamava Sole e Luna; aveva i capelli alla spagnola, se li conciava alla pampaniana).
Mègghju 'na brunetta sapurita / ca 'na jancuzza cu' rrobba e dinari; / pe' 'na brunetta 'mpizzu la vita, / pe' 'na jancuzza non passu mari! (Meglio una brunetta saporita, che una biondina con roba e denari; per una brunetta rischio la vita, per una biondina non attraverso il mare!).
Dassu la me' canzuna a ll'erbi virdi, / cu' t'ama cchjù di mia lu tempu perdi; / dassu la me' canzuna pe' la via, / tu nesci pàccia ed eu moru pe' ttia. (Lascio la mia canzone tra i prati, chi ti ama più di me il tempo perde; lascio la mia canzone per la via, tu impazzisci ed io muoio per te).
Poeti e scrittori - Fra i personaggi illustri ricordo:
1 - Francesco Gangemi (1 giugno 1912 - 10 novembre 1981). Sacerdote, saggista e poeta. Autore de Il segno di Melchisedec - (Un prete calabrese dalla fuga del secolo al rigetto del sacro) - Ediz. EffeEmme Chiaravalle C., 1978: Un libro tra il saggio, il racconto e la confessione. Collaborò alla rivista Historica.
2 - Francescantonio Spanò (6 agosto 1899 - 3 febbraio 1977). Dopo un periodo di seminario, partecipò al primo conflitto mondiale. Scrisse due nutrite sillogi di poesie: Quattro soldi (prezzo aggiornato) di cronache umoristiche, in lingua e in vernacolo - Tip. K2 di Diaco, Oppido M. (RC), 1964; Voli a bassa quota... senza meta, in lingua - Tip. Diaco, 1964.
3 - Desiderio Mazzapica, frate carmelitano, stimato teologo del Concilio di Trento, per 27 anni vescovo di Ugento (Lecce) dove morì il 28 aprile 1593. In quest'ultima città è in corso uno studio sulla figura del prelato e sul ruolo che ebbe per l'attuazione della controriforma nel Sud Salento.
4 - Giuseppe Marcello Zerbi, sacerdote, nominato protopapa di S. Cristina (1669), quindi vicario generale della diocesi e giudice metropolitano. Fu autore di parecchie opere teologiche e morali. Morì il 4 novembre 1713.
5 - Giulio Ruffo, vescovo di Oppido dal 1605 al 1609. Lottò molto per la parità sociale e contro i soprusi dei ricchi a danno dei diseredati.
E per finire
Con legittimo orgoglio, dedico la conclusione al nostro gentil sesso: Dittu pe' vantu è calabrisella, acqua e sapuni e la gonnella, 'a tegnu nt'o cori appiccicata, se m'a tòccanu fazzu 'na ferata. (Guai a chi osa toccare la donna che teniamo nel cuore!).

Bibliografia essenziale:
1 - Antonio Violi, Santa Cristina dalle origini al 1783 - Tauroprint, Gioia Tauro, 1998.
2 - A. Violi, Notizie storiche su S. Cristina d'Aspromonte - dal sisma del 1783 al periodo fascista - DePa C. - Gioia T., 2003.
3 - L. Stancati - A. Violi, Squarci di vita cristinese - Tauroprint, 2001.
4 - A. De Salvo, Ricerche e studi storici intorno a Palmi, Seminara e Gioia Tauro - Palmi, 1899.
5 - I. Loschiavo Prete - A. Orso - U. Verzì Borgese, Poeti e Scrittori - Rassegna bio-bibliografica del Novecento dei Comuni della Piana di Gioia Tauro - Vol. II - Calabria Letteraria Editrice, Soveria Mannelli (CZ), 1986.
6 - G. Malvezzi - U. Zanotti Bianco, L'Aspromonte Occidentale, ristampa anastatica a cura delle "Nuove Edizioni Barbaro" - Delianuova (RC), 2002.

(L'argomento è stato trattato da Domenico Caruso nella rivista "La Piana" - Anno IX n. 11 - Novembre 2010).

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