Folklore calabrese
Aneddoti e arguzia popolare
Gli aneddoti e i detti popolari, meglio di un ampio trattato, ci aiutano a riscoprire la saggezza dei nostri avi. In particolare, questi racconti costituivano il passatempo preferito dei contadini allorquando, stanchi per l'estenuante lavoro dei campi, sedevano d'estate davanti all'uscio di casa a godere il refrigerio della sera in compagnia dei vicini.A volte bastava una battuta di spirito a rallegrarli e far loro dimenticare debiti e acciacchi.
Le disavventure degli innamorati formavano il boccone più appetitoso.
Dalle parti di Laureana di Borrello, nella provincia di Reggio Calabria, erano singolari le stringate confidenze che si facevano subito dopo le nozze due giovani sposi, ignari l'uno dei difetti dell'altro:
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"Scusati se vi gabbai: cu' n'anca di lignu mi maritai!".
"E jeu gabbai a vui, ca l'haju di lignu tutti e dui!".
- Ed io ho gabbato voi, avendole di legno tutte e due! -).
E' da tenere presente che in quel tempo gli innamorati, nei loro incontri a casa della ragazza, stavano seduti distanti sotto gli occhi vigili dei severi genitori, senza potersi scambiare alcuna profferta d'amore e tantomeno a familiarizzare.
Spassosa è anche la storiella dei promessi sposi, raccolta sempre a Laureana di Borrello:
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"Bona sira, dissi me' patri, se mangiati nommu 'ndi vògghiu,
ma se troppu mi pregati mu li pìgghiu du' broccati!".
A S. Martino di Taurianova, invece, era ben nota l'ingenua storiella delle frittelle.
Si avvicinava il Natale e sulla zona imperversava il temporale.
Come consuetudine, l'innamorato ('u zzitu) si era recato dalla fidanzata ('a zzita) a trascorrervi la serata.
La giovane, intenta a cuocere le tradizionali frittelle ('i pittedi), si affrettò a nasconderle ancora bollenti sotto il sedere appena scorse da lontano il suo ragazzo.
Questo motivo la costringeva a rimanere seduta e, quando non ne poté più, così incominciò a canticchiare:
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"Quandu chiovi e tira ventu,
oh chi malu friddu fa':
cu' jè fora d''a so' casa
'u pìgghia 'a via e mu si 'ndi va'!".
L'innamorato, che aveva ben intuito l'imbarazzo in cui si era cacciata la ragazza, alla terza volta così rispose con cinica indifferenza:
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"No' m'importa ca chiovi e mi sculu,
basta ch' 'i pitti ti frijnu 'u culu!".
Concludiamo con due "trovate" reggine.
Un villano, recatosi nel capoluogo di provincia, calzava per la prima volta un paio di scarpe nuove. Non abituato a tale agio, inciampò nel marciapiede danneggiando la pelle delle stesse.
Togliendosele, allora, e procedendo scalzo esclamò:
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"Mègghiu lu pedi ca lu scarpu!".
Ed ancora, sempre a Reggio, un sagrestano - quando gli anziani fedeli giungevano in chiesa per le sacre cerimonie - approfittava per rubare loro i polli, che nascondeva sotto la casacca.
Il parroco, al corrente del losco affare, prima di dare inizio alle funzioni o durante le stesse, se notava qualche penna spuntare dagli indumenti dello scaccino, così lo avvertiva salmodiando:
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"Cumbogghiàtici li pìnduli (le penne),
su' cardòli (di Cardeto) e non ci 'ntèndunu!".
Gli abitanti di quest'ultima località reggina, dediti all'agricoltura, erano senz'altro evoluti al pari degli altri, ma quelli del capoluogo ( i "cittadini") si ritenevano superiori ai "contadini".
Anche se i tempi sono mutati, i "detti" ci sono stati tramandati.
(Da "Storia e folklore calabrese" di Domenico Caruso - S. Martino (R.C.) - 1988 ).