Fatti straordinari in Calabria
Il mistero del ponte maledetto
"Un giorno un viaggiatore delle sedi immortali è venuto a portare parole di un paese immortale. Ed anche noi, ricordando quelle parole, possiamo veder scendere la luce immortale sopra le ombre nere della morte. Calato il sole, nella notte lo stolto può pensare che la luce si sia spenta, la creazione distrutta. Se nello stesso momento noi guardiamo il firmamento, vediamo che, pur essendo tramontato il sole, il cielo continua a brillare". (Tagore)Di fronte al dolore e alla morte pure la nostra fede viene meno se le sue fondamenta non poggiano sulla solida roccia, ma a volte è sufficiente uno spiraglio sull'ignoto che ci attende ad accendere la speranza e dare un senso alla nostra vita.
"La questione della sopravvivenza della persona è senz'altro il problema fondamentale di tutta la scienza", afferma il biologo e filosofo tedesco Hans Driesch, e la storia dell'umanità lo dimostra.
A dissipare ogni dubbio sull'immortalità dell'anima basta considerare alcuni fenomeni paranormali, come l'esperienza extracorporale o bilocazione (OBE, Out of BodyExperience), per cui se lo spirito umano già sulla Terra può operare e comunicare senza il cervello e gli organi dei sensi nulla vieta che lo possa esplicare quando sensi e sistema cerebrale non saranno più in funzione.
La certezza della sopravvivenza per il credente è testimoniata dalla resurrezione di Gesù Cristo e dall'esempio dei Santi, ma la fragilità umana esige delle prove concrete che sulla Terra con po' di buona volontà possiamo rintracciare.
Della facoltà straordinaria di uscire dal proprio corpo per raggiungere luoghi e persone lontane, definita "visita in spirito" o "volo di spirito" dalla tradizione cristiana, è dotata pure Natuzza Evolo, l'umile calabrese di Paravati (Vibo Valentia) per la sua missione di bene.
I fenomeni dell'eccezionale protagonista vanno dalle guarigioni inspiegabili alle scritte di sangue, dalla mediazione tra vivi e trapassati alle stimmate durante la Settimana Santa.
Un evento incredibile e sconcertante che riprova come la morte non sia un sonno eterno è "Il mistero del ponte maledetto".
Con tale titolo è stato pubblicato nel 1950 sulla rivista milanese "I misteri della vita" ciò che è avvenuto la mattina del 5 gennaio 1939 nei pressi della borgata Siano di Catanzaro. L'autore del servizio, Saverio Livolsi, per la stesura del racconto si è doverosamente documentato.
Un'anziana donna aveva accompagnato la nipote diciassettenne Maria Talarico a far visita alla madre, che prestava servizio di bidella nella scuola agraria di Catanzaro. Nel mezzo del ponte che stavano attraversando, alla periferia del capoluogo, la graziosa e intelligente contadinella si fermò e come inebetita si appoggiò al parapetto per guardare in fondo. Incurante del richiamo della nonna, che l'invitava a proseguire, fu quindi colta da improvviso malore. A stento la congiunta, con l'aiuto di una passante, riuscì a trasportarla a casa e sistemarla a letto. Maria cominciò a lamentarsi e a invocare la madre con uno strano timbro di voce maschile e quando quest'ultima accorse la figlia non la riconobbe, anzi fece presente che la sua mamma era Caterina Veraldi.
Molti raggiunsero via delle Baracche alla ricerca della Veraldi che, purtroppo, non si trovava in casa.
Essendo rientrati delusi, Maria Talarico, che già aveva assunto la personalità del defunto, scrisse un biglietto (che si trova allegato agli atti dei carabinieri) da consegnare alla madre irreperibile. Incredibilmente, pure la calligrafia risulta quella del diciannovenne Giuseppe Veraldi che il 13 febbraio 1936 proprio sotto il ponte di Siano fu ritrovato cadavere.
A questo punto la ragazza scelse tra i numerosi presenti quattro giovani e con costoro si recò nella vicina bettola. Lì giunta tracannò del vino, fumò delle sigarette e con gli stessi - che chiamò Totò, Damiano, Rosario e Abele con disinvoltura intraprese a giocare a briscola. A tutti era noto che Maria non beveva e non conosceva le carte. Durante la partita Giuseppe, tramite la giovane, impose ai compagni di ricordare la sera del delitto e li sfidò a mettere nel suo vino sale e papavero, esattamente come avevano fatto tre anni prima per ubriacarlo. Quindi si alzò in cerca di aiuto, asserendo che volevano trascinarlo sotto il ponte. Portata a casa, Maria (ma è sempre il Veraldi a servirsi della ragazza) trascorse la notte in bianco lamentandosi e implorando la madre. Alle sette del mattino si alzò dal letto e traboccante di gioia annunciò ai congiunti che la mamma in quel preciso istante stava lasciando le Baracche per raggiungerla. Subito dopo, infatti, eccola fuori dalla porta ad abbracciarla.
Caterina Veraldi dalla voce riconobbe il figlio, il quale la informò di essere stato ubriacato e ucciso da Totò, Abele, Damiano e Rosario nella bettola di Giosè. Quindi, dopo essere stato duramente percosso e dopo aver sopportato la frattura della mandibola con una pietra, fu trascinato sotto il ponte. Maria, a dimostrazione di ciò, condusse la Veraldi sul greto del torrente nel punto preciso del rinvenimento del cadavere; qui si tolse cappotto e giacchetta e li dispose nella identica maniera in cui erano stati trovati quelli del morto. Ricostruita così la verità, la ragazza ritornò in sé e riacquistò la sua voce, ma si rivelò ignara di quanto le era accaduto. Tutto si svolse come al momento dell'assassinio di Giuseppe Veraldi, perpetrato il 13 febbraio 1936: Maria Talarico aveva rappresentato fedelmente la morte e la violenza subite dal diciannovenne.
Alla riapertura del processo, dietro istanza dell'allora procuratore del re S.E. Pagani, non si sono potuti condannare i presunti responsabili, ma è sintomatico il fatto che la pratica Veraldi venne archiviata per omicidio e non più per suicidio. Neppure la scienza ufficiale fu in grado di fornire spiegazioni plausibili dei fenomeni riscontrati nell'impressionante vicenda.
Per alcuni giorni la personalità di Maria Talarico era stata alterata dalla presa di possesso del suo corpo da parte del giovane assassinato alcuni anni prima - che lei non aveva mai conosciuto, lo stesso che aveva manifestato l'imperioso desiderio di vedere e di comunicare con la propria madre per rivelare i nomi dei suoi carnefici e ricostruire i particolari della sua tragica fine, facendo riaprire le indagini.
Un analogo caso di possessione su sensitivi, sempre sul Ponte di Siano, si verificò dieci anni più tardi; se ne occupò la stampa ed in particolare il "Giornale d'Italia" del 24/4/1949.
I due episodi bastano a dimostrare che la vita non cessa ma si trasforma con la morte. Come il baco produce la farfalla, così l'uomo deve purificarsi per tornare a Dio:
-
Non v'accorgete voi, che noi siam vermi
nati a formar l'angelica farfalla,
che vola alla giustizia senza schermi?
(Purg. X, 125).
"Gli uomini non possono essere felici se non vivono in pace, se non sono animati, cioè, da un sentimento di benevolenza, d'indulgenza e di condiscendenza reciproca.
La carità e la fratellanza riassumono tutte queste condizioni e tutti i doveri sociali. Il loro substrato è l'abnegazione, ma questa è incompatibile con l'egoismo e con l'orgoglio.
…Il Cristo ha posto il principio della carità, dell'eguaglianza e della fratellanza e ne ha fatto una condizione specifica ed essenziale per la salvezza. L'uomo, quindi, deve mettere in pratica questi principi di così alta natura spirituale e soprattutto li praticherà quando, cessando di voler considerare sempre nel presente il principio e le fine, riconoscerà la correlazione che esiste tra il presente, il passato e l'avvenire".
(Il servizio è stato pubblicato da Domenico Caruso su "Storicittà" - Rivista d'altri tempi - Lamezia Terme - CZ - Anno X n. 94 - Marzo 2001; su "Calabria Letteraria" - Longobardi - CS - Anno XLIX n. 4/6 - Aprile/giugno 2001).
Bibliografia:
G. Alaimo - Alla frontiera dell'impossibile - Longanesi & C - MI - 1976.
L' Aurora - periodico per la ricerca scientifica dei fenomeni supernormali -
Anno IV n. 3/4 - Camerino - Marzo/aprile 1955.